Dante Giacosa, quando l’automobile è arte pura

Ci sono auto che sono diventate icone di stile nel corso degli anni e che hanno segnato un epoca. E alcune di queste portano la firma di Dante Giacosa…

L’automobile può essere una forma d’arte e di design? Beh se pensiamo a tutte le automobili che, nel corso degli anni, sono diventate delle vere e proprie icone di stile, segnando intere epoche, allora la risposta non può essere che sì.

E non parliamo solo delle fuoriserie ma di tutte quelle vetture che, con un design innovativo, unico e perché no, spesso perfino provocatorio, hanno ridefinito le regole di un settore complesso come quello dell’auto contribuendo a scrivere la storia e l’immagine del nostro Paese.

E se parliamo di design dell’automobile, tra i protagonisti indiscussi di questo mondo c’è Dante Giacosa.

Nato a Roma per caso – almeno stando a quello che disse lui stesso – il 3 gennaio del 1905 da una famiglia di origine piemontese, dopo aver compiuto studi classici si laureò in Ingegneria Meccanica al Politecnico di Torino nel 1927.

E l’anno seguente, il 1928, fu decisivo per la sua futura carriera perché un giorno decise di rispondere ad un annuncio di lavoro trovato su un giornale et voilà. Nel giro di pochi giorni fu assunto in Fiat come disegnatore progettista con uno stipendio che allora era di 600 lire al mese.

Ci resterà una vita.

Il suo primo progetto arriva 5 anni dopo la sua assunzione quando nel 1933 è a Capo dell’Ufficio Tecnico Vetture e contribuisce alla realizzazione del prototipo Zero A che arriverà sulle strade solo tre anni più tardi, con un nome che diventerà parte della storia del nostro Paese: Topolino.

Poi la seconda guerra mondiale sconvolge tutti i piano e i progetti in corso che riprendono solo al termine del conflitto quando Giacosa firma il design della Cisitalia 1100, un’automobile sportiva talmente all’avanguardia come stile e design da entrare nel Museum of Modern Art di New York quale esempio di opera d’arte contemporanea.

Poi tanti altri progetti, uno dopo l’altro. La Campagnola (1951), la super sportiva 8Vi (1952), la 1100 – 103 (1953) fino all’ indimenticabile 600 (1955), con motore posteriore.


Nel 1957 è la volta del suo capolavoro assoluto, la Fiat Nuova 500, un gioiello che vale a Giacosa il “Compasso d’Oro” 1959. “… Costituisce un tipico esempio, nel campo dell’automobile, di una forma nata dalla stretta integrazione fra tecniche proprie della grande serie nell’industria meccanica e particolari esigenze di economia nella produzione di una macchina di ampia destinazione popolare. Il premio, sottolineando la coraggiosa rinuncia alla figuratività tradizionale dell’automobile attraverso un attento riesame del complesso dei suoi elementi fondamentali, intende portare in rilievo il fatto che tale concezione, oltre ad aver condotto il designer alla massima limitazione degli elementi superficiali del costume decorativo, segna una importante tappa nella strada verso una nuova genuinità espressiva della tecnica”. Questa la motivazione del prestigioso premio che non fa altro che confermare quello che dicevamo all’inizio dell’articolo. L’automobile può essere una forma d’arte e di design? Certamente sì

Giacosa è anche responsabile del progetto della Fiat 124 (vettura dell’anno 1967), Fiat 125, Fiat Dino; della 130 berlina e coupé; della 128 (vettura dell’anno 1970), prima vettura Fiat a trazione anteriore; della 127 (vettura dell’anno 1972), disegnata dall’amico Pio Manzù (qui l’articolo che gli avevamo dedicato).

Diventa professore incaricato al Politecnico di Torino alla cattedra di “Costruzione di Motori” dal 1947 al 1966 e scrive il libro “Motori endotermici”, adottato quale testo fondamentale in Istituti Universitari italiani ed esteri. Giacosa lavorerà tutta la vita fino alla sua scomparsa a Torino nel 1996 all’età di 91 anni.

Un professionista che ha ottenuto premi ed incarichi prestigiosi ma che ha sempre fatto dell’umiltà di dubitare, anche del suo lavoro, uno stile che lo ha portato a cercare continuamente la perfezione.

In fondo, lui stesso ammise: “Cosa c’è di più bello dell’intuizione che improvvisamente illumina una lunga, arrovellante, corrosiva, magari nebulosa meditazione e finalmente pone fine all’incertezza che sempre accompagna il lavorio della mente? Compiango chi tutto classifica, tutto giudica e decide senza il fremito d’incertezza nell’affrontare il futuro, senza provare l’intima emozione del dubbio che sempre affiora nelle cose del pensiero, come pervade i problemi dello spirito”.

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