Se nelle città europee gli edifici brutalisti giacciono in stato di abbandono, l’estetica brutalista sta conquistando il mondo dell’interior design…
Quante volte succede di innamorarsi di un oggetto di design che pare incompiuto? Di perdersi nei dettagli che creano quell’effetto sospeso? E quante volte siamo davvero capaci di abbandonare i canoni di stile che vanno per la maggiore per ammirare un grezzo edificio che ci ricorda quei “casermoni” dell’ex Unione Sovietica con gli occhi (e la testa) liberi da ogni stereotipo?
Benvenuti nel mondo del brutalismo. Un mondo dove i compromessi e i cliché restano fuori dalla porta. Il fascino del brutalismo non si coglie al volo. Non è come una di quelle canzoni il cui ritornello ti entra subito in testa e non ti esce più. Piuttosto è come una di quelle tracce lontane dalle hit o dalla title track destinate a diventare un patrimonio di pochi appassionati.
Eppure il movimento brutalista non è qualcosa per pochi. Anzi, il suo spirito, per certi versi, nasce da un sentimento opposto e da quell’uso “sfacciato” del béton brut,il cemento a vista. Ma procediamo con ordine.
Oltre un anno fa, Barnabas Calder, storico dell’architettura inglese contemporanea all’Università di Liverpool aveva scritto un lungo articolo (qui la traduzione italiana su The Vision) dal titolo: “Gli edifici in cemento del brutalismo sono bellissimi”. Nel pezzo, che ovviamente era concentrato esclusivamente sull’architettura brutalista di infrastrutture, lo storico affermava senza se e senza ma: “Amo il brutalismo, e sono sempre più convinto che non si tratti soltanto di una corrente architettonica come un’altra, ma molto meglio. Nessun’altra corrente architettonica ha avuto risultati così notevoli”.
E ancora: “Dobbiamo sentirci liberi di apprezzare il miglior periodo architettonico in assoluto. Quel breve ma prezioso lasso di tempo, che ha avuto vita dopo il superamento dei vincoli strutturali imposti dal mattone, dalla pietra e dal legno” ha aggiunto Calder.
L’estetica brutalista è così: o la ami o la odi. Non c’è spazio per le mezze misure. Ma anche chi non può sopportare il grigio cemento armato degli edifici o il ferro battuto delle lampade e di altri manufatti brutalisti dovrà ammettere che nessuna corrente è stata tanto breve e longeva allo stesso tempo.
Già, perché possiamo incastonare il brutalismo a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60 come una corrente nata per superare il modernismo e scomparsa con la stessa forza dirompente con cui era comparsa. Ma in dieci anni e anche meno, il mondo si è riempito di edifici in stile brutalista. Dal Boston City Hall al Royal National Theatre di Londra. Dall’Istituto ucraino di Ricerca scientifica e tecnologica di Kiev alla Torre Genex di Belgrado fino alla Torre Velasca di Milano (in foto), solo per citarne alcuni. Ma basta fare due passi in quella che era Berlino est oppure nei quartieri popolari di Marsiglia, per non parlare di tutti i paesi che componevano l’ex blocco sovietico per vedere esempi di edifici brutalisti.

Luoghi grigi, spesso trascurati, altre volte perfino abbandonati ad uno stato di degrado. Ma non per questi privi di fascino. Anzi…
Photo by: www.dezeen.com
Quell’uso del calcestruzzo si distingueva da qualsiasi tecnologia costruttiva precedente, lasciando gli architetti liberi di creare le forme che ritenevano più utili e belle e superando quel concetto di facciata portante che era diventato ormai un dogma.
Ma attenzione a considerare il movimento brutalista come estemporaneo. Si tratta piuttosto di uno stile che mette in discussione i valori estetici dell’architettura del tempo attraverso una consapevole ricerca di un contrasto. Uno “scontro” che però non è un vezzo. Dobbiamo infatti considerare il periodo storico in cui nasce e si sviluppa questo movimento, ovvero subito dopo la seconda guerra mondiale.
C’era un’Europa a pezzi, da ricostruire. Un’Europa fatta di città che avevano bisogno di nuovi edifici al posto di tutti quelli distrutti (o irrimediabilmente danneggiati) dai bombardamenti.
In questo contesto, il brutalismo è stato la risposta ad un’esigenza reale, concreta, urgente. Un’architettura apparentemente grezza ma poco costosa.
Discorso diverso, totalmente diverso per lampade brutaliste e altri pezzi di interior design. Perché qui la produzione non è stata così vasta e, oggi che il brutalismo sta tornando in auge, parlare di pezzi brutalisti significa parlare di rarità.

Nell’interior si prediligono materiali come il ferro e il cemento che, grazie a mani esperte, vengono sapientemente plasmati in modo volutamente grezzo tanto da far sembrare le realizzazioni poco definite o incompiute. Il fascino e la sfida del brutalismo sono anche nell’affermazione del materiale sulla resa.
Difficile dire se il calcestruzzo stia diventando un “nuovo” elemento per l’arredamento delle nostre case. Quello che è certo è che la lavorazione del ferro battuto in stile brutalista offre una visione inedita di uno degli elementi più utilizzati nella realizzazione di manufatti.
Sono le lampade gli oggetti di interior che negli anni hanno subito le maggiori influenze brutaliste con un massiccio ritorno di ferro battuto e rame per la loro realizzazione. Lampade da soffitto e lampade da tavolo.
Il ferro battuto, con il suo basso contenuto di carbonio, è sempre stato considerato come un materiale duttile e quindi perfetto per essere lavorato e rifinito. La sfida del brutalismo è proprio quella di lasciare questo materiale ad una forma apparentemente grezza.
Tra le nuove tendenze si sta facendo strada un minimal brutalist che reinterpreta contemporanea l’essenzialità delle forme e i materiali crudi del brutalsimo in chiave minimal.
Siamo quindi di fronte ad un ritorno del brutalismo? In realtà se parla già da qualche mese. Su Instagram c’è perfino un account ‘brutal architecture’ che raccoglie fotografie di architettura brutalista da tutto il mondo.
La verità è che l’architettura brutalista non se ne è mai andata dalle nostre città. Siamo stati noi a smettere di guardarla pensando forse che bastasse il degrado a cancellarla. Non è così: proprio lo stato di abbandono ha dato ancora più forza ad un’estetica dirompente, esaltandola. No, il brutalismo in ambito architettonico non tornerà. Piuttosto è il passaggio dall’architettura brutalista al design brutalista la nuova frontiera di un movimento che non perderà mai il suo fascino oscuro. Che ci piaccia o meno.
Anche nel mondo del graphic design notiamo un ritorno allo style brutalista ecco qui alcuni esempi presi da designshack.net e da www.milimetricks.com:
