L’architetto Giuseppe Terragni è il maggior esponente del razionalismo architettonico, soprattutto di quella fascia che rappresentò il partito fascista.
Ma non bisogna relegare la figura del Terragni alla mera raffigurazione dell’edilizia del regime e di Mussolini, perché la sua è una personalità carismatica e molto innovativa. Dopo aver rivisto il progetto del pittore Prampolini per il Monumento ai Caduti di Como, solo dopo un anno dalla laurea in architettura firma il manifesto del Gruppo dei 7, il movimento di giovani designer e artisti che nel 1926 si promuovono di rinnovare l’edilizia con un modo inedito di concepire l’architettura.
Giuseppe Terragni in pillole
La sua è un’esistenza ricca di arte e di curiosità, stroncata troppo presto dalla prematura morte sul pianerottolo di casa della compagna Maria Casartelli, per trombosi, a soli 39 anni.
Dotato di fiuto per la novità e di impeto artistico veemente, l’architetto progetta e disegna soprattutto di notte, nel suo studio, in compagnia del suo gatto e di centinaia di sigarette, sormontato da pile di disegni e di carte.
Serve l’esercito italiano nella campagna russa e da semplice comandante dell’artiglieria si fa trasferire in prima linea: Mario Radice, suo collega, lo ricorda come un artista anticonformista e pieno di talento.
Nel 1920 fa pare del MIAR e sviluppa il suo concetto di architettura salvifica e benefica per l’uomo, ispirandosi al Modernismo Europeo di Gropius, Le Corbusier e Mies Van der Rohe.
La celebre casa del Fascio
Giuseppe Terragni progetta la famosa Casa del Fascio che diventa il manifesto edilizio del regime fascista: ci troviamo a Como, sua città natale, in piazza del Popolo 4. Viene inaugurata nel 1932 e sarà la sede del Partito Nazionale Fascista fino al 1945, data in cui la città di Como sarà liberata dalla dittatura.
Lo stile a celle di Le Corbusier è evidente, con tanti settori a blocchi dotati di terrazza e balcone vivibile: la casa del Fascio, però, ha una valenza soprattutto monumentale e celebrativa che si traduce nel sapiente uso del modulo e del blocco monolitico che deve dare un senso di rigore e di imponenza.
Oltre all’edificio che diventerà il baluardo degli ultimi nostalgici del fascio, Giuseppe Terragni progetta un’opera che non sarà mai costruita per mancanza di fondi e di sovvenzioni, l’incompiuta Danteum, un omaggio all’eccellenza di Dante Aligheri.
Secondo il progetto, doveva essere un mastodontico complesso, sicuramente a scopo amministrativo e di uffici, concepito come un percorso tra diversi percorsi.
I criteri compositivi del Terragni sono quelli monumentali e celebrativi che si ispirano ai tempi greci, ma ripuliti dalla decorazione e da qualsiasi riferimento fru fru e orpello: basti vedere le colonne prive di capitello per comprendere lo stile pulito, concreto e less is more tanto caro all’architetto.
L’impegno negli arredi
Giuseppe Terragni nasce nel 1904 e muore molto giovane, nel 1943, il che lo inserisce in un’aura di immortalità e di quel forever young che distingue tutti i personaggi illustri scomparsi troppo presto.
Nella sua frenetica carriera non è stato solo tra i principali firmatari del Gruppo 7 nel 1926 ed esponente dell’architettura fascista, ma anche il progettista di interni e di indoor di alta classe.
Si citi, ad esempio, il progetto per la sedia razionalista in legno in cui tutto è proporzione, dallo schienale al basamento dai forti volumi.
La seduta progettata dal Terragni è il riflesso dello stile Modernista di quei tempi, in cui non c’é spazio per la decorazione mera ed effimera, ma tutto ha un ruolo e uno scopo specifico.
Le poltrone attribuite a Giuseppe Terragni si inseriscono nella decorazione di interni e nelle arti applicate, ma lo studio delle linee e delle armonie si discosta fortemente dal Liberty degli anni ’20, poi interpretato negli arredi sinuosi tra gli anni ’50 e ’70 del design italiano.
L’architetto fonda le radici della sua opera nei criteri del razionalismo in tutto e per tutto, anche su una poltrona, sull’armchair che si distingue per linee pulite ed essenziali.
Si tratta di forme più curve e non ortogonali, quindi meno geometriche e acute, questo è vero: la sintesi dell’architetto e designer sta nell’equilibrio di un complemento d’arredo che deve essere confortevole e accogliente, anche nei colori e nei tessuti, ma senza dimenticare quella sorta di solenne austerità.