Pierluigi Ghianda è l’uomo che ha trasformato la falegnameria di famiglia nel luogo dove tutti i più grandi designer hanno dato forma alle proprie idee
L’inconfondibile profumo caldo dell’ebano riempie l’aria di Bottega Ghianda, la bottega “del Ghianda”. Se chiudi gli occhi e provi ad inspirare, ti sembra quasi di sentirlo come tutti quei profumi che catturi da bambino e che ti si incollano nella memoria. Un laboratorio, un luogo dove arte, lavoro e sperimentazioni si fondono ogni giorno, mossi da quella “cultura del fare” che sarà la cifra di un export brianzolo verso ogni latitudine del globo negli anni del “miracolo italiano”.
Tanti imprenditori brianzoli hanno iniziato così, in uno scantinato o poco più, modellando con gli attrezzi e con le mani legno, stoffe e altri pezzi che hanno fatto parte degli arredamenti più diversi.
Pierluigi Ghianda è uno che ha lavorato con tutti i più grandi designer non per grazia ricevuta o chissà per quale privilegio acquisito, ma perché si è riempito le mani di tagli perché, negli anni ‘30 e ‘40 del novecento , quando non c’erano computer o sistemi automatizzati e il legno si lavorava con gli attrezzi e con le mani. Con il cuore e con il cervello. Ghianda ogni giorno tornava da scuola e, prima ancora di salire in casa passava in bottega, poggiava la cartella con i libri e lavorava come garzone.
Lui, il “poeta del legno” che amava definirsi un “legnamé”. Classe 1926, aveva iniziato da apprendista per diventare uno dei nomi più noti dell’arte del legno: un ebanista con opere esposte nei principali musei del mondo e collaborazioni coi nomi più importanti del design italiano e internazionale.
Esigente con se stesso e con i suoi collaboratori, Ghianda è stato prima di tutto un grande progettista, capace di rappresentare la “bellezza italiana” attraverso un materiale nobile e povero allo stesso tempo e, soprattutto “vivo”: il legno. Un uomo carismatico ma anche un imprenditore che ha saputo vedere oltre. In una delle sue ultime interviste nel 2013, Ghianda disse: “Per me il legno ha un valore assoluto, guai a sciuparne un pezzo. Perché il legno, a differenza del metallo, è tutto pregiato: è un dono di Dio”.
Qui sopra Alcune realizzazioni del maestro
Non un semplice ebanista ma, come disse lui stesso una volta: “Sono un legnamé a cui piace fare delle belle cose”. Un ebanista che negli anni ‘50 ha preso le redini della falegnameria di famiglia di nonno Luigi e l’ha trasformata in un simbolo forgiando i più belli scrigni per brand come Rolex, Dior, Bulgari o la biblioteca del cardinal Martini piuttosto che gli arredi della famiglia Agnelli nella residenza di St. Moritz.
E poi ancora le cornici in legno per il Musée d’Orsay, la scrivania di Gio Ponti per il Corriere della Sera
Quello dell’ebanista non è solo un mestiere artigianale, ma anche una sorta di gioco d’incastri. Dai più semplici ai più complessi, come in Kyoto (Frattini), il suo capolavoro, un tavolo generato da 1705 incastri fino a formare una texture di 1600 fori quadrati su cui giocano luci ed ombre, esposto al prestigioso MoMa di New York.
Il termine falegname indica in senso lato colui che lavora il legno, per la fabbricazione e riparazione di mobili, infissi. Ghianda ha iniziato così da ragazzino ma ha saputo sognare in grande e guardare oltre, comprendendo le potenzialità dei legni più pregiati come l’ebano e acquisendo la padronanza delle varie tecniche di intaglio e di intarsio oltre ad una profonda conoscenza della storia del mobile e doti di sensibilità artistica.
Il maestro ha sapientemente lavorato un centinaio di tipologie di legno. Ghianda ha sempre avuto il pallino di andare a cercare il legno nei Paesi stranieri. Una fonte inestimabile di materiale e ispirazione è la foresta amazzonica. In quel territorio crescono alberi di moltissimi colori.
Nulla accade per caso.
Ghianda, a suo modo, fu il simbolo di un’epoca che non c’è più. Oggi che il progresso tecnologico segue la regola del tutto e subito e la cura artigianale sembra un optional o, peggio ancora, un lusso che nessuno si può più permettere. Così, oggi che la quantità prevale sulla qualità e la plastica sui materiali nobili, la sapienza dell’artigiano fatica a trovare spazio e dimensione. D’altronde l’artigianato è una forma d’arte e nell’arte solo in pochi oggi raggiungono la perfezione, l’eccellenza e non è certo nella “fredda” ripetitività di un processo seriale che si può riprodurre questo spirito.
In un’intervista, il grande Ettore Sottass disse: “Lo conosco (Pierluigi Ghianda – Ndr) da tempo immemorabile, credo da trenta o quarant’anni. Sono andato da Ghianda per la prima volta moltissimi anni fa e quello che ne uscì fu una cassettiera con molti cassetti, di legno scuro, duro, bello; senza guide di plastica ne di metallo. E ancora oggi, quando si apre un cassetto sembra che scivoli via. Insomma, è assolutamente perfetta”.
Gae Aulenti fu ancora più netta: “Pierluigi Ghianda è il più grande ebanista che esista in Italia in questo momento”.
Ghianda scompare nel 2015 all’età di 89 anni. Ma ancora oggi “Bottega Ghianda”, dove lavora la figlia Beatrice, è un simbolo.
Ltwid vuole ricordare la sua grande maestria con il tavolo Modello Gabbiano, dotato di grande maestria nel saper lavorare il legno e l’ingegno.
L’ultimo grande maestro ebanista del Novecento in grado di creare un ponte tra passato e futuro. Ha trasmesso la sua maestri ai suoi artigiano e, ancora oggi, i più grandi designer vengono nel cuore della Brianza per dare forma alle proprie idee.
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