Poltrona Mansutti e Miozzo, la sfida di saper guardare oltre

Osserviamo con attenzione questo pezzo raro degli architetti padovani Mansutti e Miozzo…

La guardi e pensi che non ti trovi solo di fronte ad una rarità, ma ad una sfida.

Questa poltrona Mansutti e Miozzo fa parte di una rara realizzazione dei due architetti Francesco Mansutti e Gino Miozzo che scelsero un’edizione limitata e numerata per una collezione totalmente al di fuori della loro “produzione”.

E noi saremo in grado di osservarla oltre i soliti schemi che hanno accompagnato il design razionalista?

Abbiamo accettato questa sfida.

Poltrona Mansutti e Miozzo: una rarità razionalista

La struttura della poltrona (splendidamente conservata con i materiali originali) è in legno noce, mentre per la seduta è stata usata una splendida pelle marrone chiaro.

Più avanti la osserveremo con maggiore attenzione. Prima, però, c’è una domanda che proprio non riusciamo a toglierci dalla testa.

Perché due architetti esponenti del razionalismo più “puro”, specializzati quindi nella realizzazione di edifici pubblici, hanno scelto di dedicarsi alla creazione di una linea di poltorne numerate? Solo una semplice “variazione sul tema”? Probabilmente no, anche se le vere ragioni restano in parte avvolte in un mistero.

Di sicuro c’è che basta soffermarsi a guardare questa poltrona Mansutti e Miozzo per qualche istante per avvertire, forte, la sensazione di quanto il razionalismo italiano sia stato sottovalutato nel corso degli ultimi anni. Certo, di mezzo ci sono ragioni politiche che hanno legato questa corrente architettonica, che nel nostro Paese ha preso forma e si è sviluppata tra gli anni venti e gli anni trenta del 1900 con le vicende politiche che hanno indelebilmente segnato quell’epoca.

L’esperienza controversa del razionalismo italiano

Un’epoca complessa, controversa, per certi ancora buia per (e oltre) il nero di quelle camicie macchiate dal rosso del sangue e dall’odore di paure e sospetti. In cui anche l’architettura era uno strumento di formazione del consenso e di diffusione ideologica che si concretizzava in piazze, edifici, strade pregni di enfasi littoria e di presuntuoso scenografismo. Lo è sempre stato a qualsiasi latitudine e in qualsiasi epoca. Ma la retorica di regime, fortunatamente, non fu l’unico elemento che ispirò l’architettura di quegli anni.

Ma l’equazione razionalismo e fascismo non è completa. Forse neppure esatta. L’ispirazione del razionalismo è piuttosto da ricercare con il Movimento Moderno internazionale e con i suoi principi del funzionalismo.

Gli stessi Mansutti e Miozzo, nei loro progetti edilizi ponevano sempre l’accento su cemento armato e laterizi, ma lo facevano con uno stile unico in grado di affermare quelle che all’epoca erano considerate come le “nuove espressioni architettoniche”. In realtà, si tratta di due grandi architetti che si sono specializzati nella progettazione di edifici di uso pubblico, in un periodo complesso in cui cui le esigenze funzionali e di rappresentanza del regime si dovevano sposare con una realtà ancora fortemente improntata alla ruralità in molte parti d’Italia.

Una funzionalità connotata da una forte impronta di modernità che oggi stiamo riscoprendo. Si tratta di un processo lungo e complesso perché ci obbliga, in qualche modo, a fare i conti con un passato scomodo e che spesso si preferisce dimenticare piuttosto che guardare in faccia.

Non limitiamoci a guardare questa poltrona. Osserviamola…

Ma torniamo a questa poltrona Mansutti e Miozzo. Osserviamola con attenzione nella sue linee stilistiche rigorose e pulite, tipiche del periodo razionalista con i suoi angoli retti. Però quel legno noce riesce a trasmettere non solo robustezza ma anche una sensazione di calore che esula un po’ dagli schemi rigidi di quel periodo. E quella seduta in pelle marrone è in perfetta armonia con il resto della struttura.

Purtroppo cercare di incasellare l’arte, lo stile e il design in un panorama politico o storico preciso senza coglierne le sfumature più nascoste rappresenta un limite. Come recitava un articolo “Architetti ritrovati” pubblicato oltre dieci anni fa su “Il Mattino di Padova”: “I loro nomi non si trovano nei dizionari di architettura contemporanea, le loro opere non sono oggetto di convegni e mostre retrospettive. Eppure i padovani Francesco Mansutti (1899-1969) e Gino Miozzo (1898-1969) sono stati fra i principali interpreti di una stagione importante dell’architettura italiana, quella legata al razionalismo dei più celebrati Terragni, Moretti, Libera, Pizzinato, Muzio, dello stesso Piacentini”.

Solo di recente la storia dell’architettura ha recuperato la memoria di un movimento che affonda le proprie radici nel futurismo e nelle istanze di rinnovamento estetico e culturale più autenticamente italiane. E più guardiamo questa poltrona Mansutti e Miozzo, più siamo felici che l’abbia fatto.

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